Del sentimento religioso considerato come oggetto e fattore di educazione

Del sentimento religioso considerato come oggetto e fattore di educazione

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 Archivio Barnabitico di Roma
Manoscritto n. 165 

 

 

A. Il Testo:     B. Per approfondire:     C. Letture consigliate:


 

A. Il Testo (continua):

L’idea [15] che si possa e si debba educare  noi la religiosità nei giovani – e non nei giovani solo, ché  l’educazione  è  qualcosa  di  perenne, ma per ora fermiamoci ai giovani – quest’idea riuscirà forse nuova e parrà strana ad alcuni credenti molto, anzi troppo fervidi.   Costoro debbono chiedersi: ma la religione, la fede, non è dono, non è grazia di Dio?   e allora che c’entra l’opera educatrice dell’uomo?     In realtà però a chi movesse questa ingenua domanda, noi potremmo far osservare che di fatto anche nei circoli più severamente o più ingenuamente ortodossi, si è lavorato alla educazione del sentimento religioso, del sentimento cristiano, si è  lavorato e si lavora.   Giacché non sono forse una educazione alla religiosità cristiana l’insegnamento del Catechismo e della storia sacra?     gli   esercizi molteplici privati e pubblici della pietà?   e non si è  cercato e non si cerca di dare a questi esercizi medesimi tali forme che li rendano sull’animo, sul sentimento del fanciullo più efficaci?    Anche qui però è accaduto, ed è ciò che può spiegare la ingenua meraviglia cui accennavo, quello che in tanti altri casi accadde e accade: l’umanità prima fa le cose e poi le pensa o ripensa.     Prima si muove e poi fa la meccanica, prima ragiona  e poi costruisce la logica – prima viene il mangiare e poi la chimica organica.     I moti riflessi presuppongono sempre, fatalmente i moti spontanei.     Non altrimenti l’educazione del sentimento cristiano, educazione spontanea precede la pedagogia religiosa.   Ma quel fatto spontaneo giustifica questa idea riflessa.     Non si  può  parlare  di  educazione del sentimento cristiano perché questo è dono, è grazia di Dio?   è   dono?     Signori  miei  –  chi   ragiona così,  mostra di essersi  dimenticato un altro aspetto della realtà che non esclude questo primo – ogni religiosità, la religiosità cristiana in  modo unico è realtà divina sì, ma anche fenomeno umano – è il divino nell’umano.    Ed è questo umano aspetto, realissimo, indistruttibile che legittima questa opera educatrice la quale nella pura luce divina apparirebbe, sembrerebbe superflua.

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Gli estremi si toccano [16] – l’educazione religiosa, la positiva opera di sviluppare la religiosità, che potrebbe sembrare superflua a certi religiosissimi uomini, appare inutile ad altri che religiosi non sono né punto né poco.   Ci  sono dei  nihilisti  i  quali non vorrebbero più né catechismo, né storia sacra nelle scuole – non più nulla, né parole né simbolo che accenni a religiosità.   Capovolgono il detto dei tempi servili: parum de Deo, nihil de principe in quest’altro: parum de principe, de Deo nihil.     Se i religiosissimi contrari alla pedagogia religiosa possono essere una mia ipotesi, questi irreligiosi, questi nihilisti sono, e voi lo  sapete, una realtà.

Io mi sono dovuto chiedere, trovandomeli dinanzi nel meditare il mio tema, perché costoro vogliono la scuola educatrice muta, assolutamente muta e inerte religiosamente?   Le idee che li ispirano non possono essere che due:  essi credono che l’uomo non è religioso,  o vogliono che non lo sia.   Se non lo è, infatti, è logico non sia educatrice religiosamente la scuola – come è logico il non insegnare ai fanciulli… a volare, visto che madre natura non li fornì di ali (mentre s’insegna loro a camminare perché hanno le gambe).     Ma a questi lumi di luna, ossia in questo splendore scientifico, è più permesso il credere che l’uomo sia religioso?   La religiosità poté parere inoculazione artificiale ad una generazione come quella di G. Giacomo Rousseau che credeva artificiale anche la società, che immaginava lo sviluppo umano come una vera produzione ex  nihilo  intermittente di una  qualità nuova.     L’uomo acquistava vivendo, secondo questa ingenua filosofia, la tendenza sociale, e la estetica e la religiosa.   Oggi noi sappiamo che l’uomo non si sarebbe   associato se non fosse socievole; oggi la religiosità è per noi un fatto spontaneo.   Ma se l’uomo è religioso, l’educarlo come se non lo fosse, è un assurdo.     La pedagogia buona non si crea un ente artificiale per proprio uso e consumo, prende l’essere che natura gli dà.

Sicché il proposito di una educazione senza nessun alito religioso, non può nascere se non da un desiderio e da un proprosito alla religiosità medesima ostile.     È  meglio essere schietti  a questo mondo,  e  chi dice:  bando all’elemento religioso dall’educazione umana, è meglio soggiunga senz’altro: non è che noi si tema introdurre, noi la religiosità negli animi dei   fanciulli, bensì questa che vi nasce spontanea, oggi almeno ( non fosse che per atavismo),   questa noi vogliamo  dall’animo umano sbandita.       La vogliamo sbandita e perciò le chiudiamo in faccia intanto la porta dei nostri istituti  d’educazione popolare – la chiudiamo ermeticamente, la chiudiamo dappertutto, sempre.

Quei che parlano così hanno il merito di parlar chiaro [17].     Ma … io per il momento sospendo ogni giudizio sulla loro antipatia per la religiosità, salvo ad occuparmene dopo, e dico per  intanto,   come se fossi loro alleato, dico che per la loro meta sbagliano strada .   Chi vuole distrutto nell’umanità, predicandolo una malattia quel sentimento religioso che nell’uomo è spontaneo fin da fanciullo, ha torto di disinteressarsene nella educazione.   Egli certo spera in una specie di morte naturale.   Il sentimento religioso non nutrito da nessuno nel fanciullo si   spegnerà  lentamente,  del  tutto.     Vana speranza, amici miei!   La realtà è questa che invece di  spegnersi da sé,  si svilupperà male.     E lo provo.     Ammettiamo che la religiosità  sia una malattia congenita della nostra psiche – ammettiamo il concetto patologico della religiosità.   Ma, ditemi,  da quando in qua le   malattie congenite si abbandonano al loro fato perché finiscano da sé?   da quando in qua a un malato non si fa nulla perché guarisca?   E con che logica o con quale buon senso, si tratteranno invece così con questa cura antifrastica, la cura del non curarsene, le malattie morali?   questa che ci si ostina a considerare una malattia morale, la   religiosità?       E l’esperienza   suffraga questa analogia.   Popoli e individui la cui religiosità fu,  senza educazione nessuna, abbandonata a sé medesima, non   già irreligiosi bensì divennero superstiziosi.   O certo la loro fu una brutale atonia religiosa;   un non sentir più questo enorme mistero dell’universo accompagnato da una suprema noncuranza di risolverlo o da una sciocca illusione d’averlo risolto con qualche frase fatta con qualche idea superficialissima  –  un prendere la vita non più seriamente ed altamente, ma con maggior frivolezza, come una partita di piacere, e con più sordido egoismo.     Non si parli dunque di rinnovare una esperienza   dolorosamente   già   fatta   –   chi     vuole combattere la religiosità dell’uomo non è logico trascurandola nel fanciullo.

Scartato [18] così il  nihilismo pedagogico (ipotetico) di chi considera il sentimento religioso esclusivamente come divino, e il  nihilismo religioso (reale) di chi credesse che la religiosità non esista, o che a trascurarla si atrofizzi,  due soli  sistemi rimangono in campo – il sistema di chi amando lo religiosità la vuole educata, e di chi detestandola la vuole combattuta nel  fanciullo – dentro e fuori della scuola.           I quali due sistemi [19] pur essendo agli antipodi per un verso convergono per un altro fra loro.      Entrambi si appassionano per la religiosità umana [20], d’amore gli uni d’odio gli altri: ma chi non sa  quanto sia dell’odio e dell’amore profondo l’affinità?   Come l’odio più d’una volta non sia che la continuazione morbosa d’un vecchio amore?   Chi non sa come entrambi rientrano nella categoria del sentimento?[21] Tanto più che sovente chi dice di non volere la religiosità, ne vuole semplicemente un’altra: quello che pare tentativo di demolizione sovente non è che sforzo di sostituzione.   Non fu forse così, o certo non   finì per essere così, durante la Rivoluzione francese?     Quei giacobini ch’erano partiti in guerra contro Dio non finirono per inaugurare gli uni il culto d’una Dea e gli altri il culto dell’Essere Supremo?     Il tentativo di abbattere la religiosità finiva in quello di surrogare in Francia e nel mondo il Cristianesimo.     Il gran guaio si è che al posto del Cristianesimo allora e poi si volle mettere una costruzione filosofica.   E mentre ciò pareva una trovata ragionevole,  era una idea bizzarra.   I filosofi all’opera di costruire una religione ben compassata, mi fanno ricordare certi uomini politici in atto di creare con delle buone leggi e dei decreti prepotenti delle opere d’arte.   Eh via l’arte agli artisti, e la religiosità lasciamola in cura alle anime religiose!     Anche perché queste così dette religioni filosofiche puzzano troppo, o certo puzzavano troppo nel caso di Robespierre, di politica parecchie miglia lontano.

I programmi dunque della positiva educazione della religiosità e della positiva lotta contro di essa, i soli logici, convengono nel fatto della pedagogia religiosa, convengono nel respingere il programma puramente e semplicemente nihilista.   E   ciò   depone [22] anche una volta per la impossibilità di scartare, saltare il problema religioso.   No, no Dio non si trascura, bisogna amarlo od odiarlo – la neutralità è assurda: o per Lui o contro di Lui.     Ma c’è [23] tra i due sistemi opposti un altro punto, un’altra convinzione umana.   Riconoscono entrambi nelle sfere della religiosità umana pericoli e danni.   Egli è che per riconoscere questo, per sapere che in nome della religione furono lungo i secoli consumati orrendi delitti, basta essere storici e storici sinceri.   I fatti sono così numerosi  e noti, il tempo così breve che voi mi perdonerete se io ne tralascio una qualsiasi enumerazione.

Ma – ed ecco qui la grande divergenza intellettuale[24] che s’accompagna poi con la profonda divergenza affettiva – i credenti, i propugnatori d’una educazione della religiosità, veggono in tutti questi fatti delle degenerazioni, gli altri, i nemici, ci veggono in quello vece delle religiosità la genuina manifestazione.   I credenti dicono: ecco dove conduce una religiosità corrotta:   gli   increduli soggiungono: ecco quello che la religione   produce.     Per gli uni la religiosità è una forza con tutti i pericoli e i vantaggi di una forza; per gli altri è una malattia, puramente e semplicemente una malattia senza un solo vantaggio e con ogni maniera di danni.

Manifestamente, o miei signori [25], quella degli increduli e nemici è una visione storica monca – il loro inventario religioso è incompleto – guardando al passivo della storia religiosa dell’umanità dimenticano l’attivo di questo grandioso bilancio.     Perché certo di Dio si sono pensate e dette le cose più assurde; ma si sono anche pensate, dette e scritte le cose più sublimi.     In Lui certo una rozza e puerile umanità cercò un surrogato delle cause fisiche, ma in Lui uomini che si chiamavano Platone, Aristotele, Galilei, Newton, Keplero, Volta, Leibnitz, Rosmini, in lui trovarono la causa prima dell’universo, al di là al di sopra d’ogni serie fenomenica – asilo d’ignoranza per gli uni, fu per gli   altri  l’espressione della scienza più alta.   Nel nome di Dio, pur troppo, si  accesero odii profondi,  ma nel nome di Lui si è pure nutrita una carità meravigliosa.   A un Dio Moloch si immolarono vittime cruenti, ma nel nome del Dio predicato dai Profeti e da Cristo si consacrò come sacrificio unico accetto quello d’un cuore spezzato e di una   volontà misericordiosa.     Per ogni abisso, in questo terreno così accidentato della vita religiosa della umanità, per ogni abisso che voi mi additate io posso scoprirvi una vetta: per ogni fanatismo cieco, un entusiasmo sano, per ogni visionario un veggente, per ogni mago un profeta, per ogni sfruttatore vergognoso un santo magnanimo.

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 [Ultimo aggiornamento: 22.12.2019, alle ore 9:32]

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